DICORSO DEL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DI CUBA NEL 54 PERIODO DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE

 

Signor Presidente,

Signor Segretario Generale;

Distinti delegati;

In questa sede, vi sono oggi rappresentanti di Paesi ricchi e anche rappresentanti -i più numerosi- dei Paesi poveri. Vi sono Ministri e Ambasciatori di Paesi dove il Prodotto Interno Lordo procapita è di 25 mila dollari e altri che rappresentano i Paesi dove tale indicatore è di 300 dollari. La differenza, inoltre, aumenta ogni anno.

In questa sede vi sono rappresentanti di Paesi che sembrano di avere un futuro promissorio. Sono quelli che contano solo sul 20% della popolazione mondiale e controllano l'86% del PIL del mondo, l'82% dei mercati mondiali d'esportazione, il 68% degli investimenti stranieri diretti e il 74% delle linee telefoniche del pianeta.

Ma, cosa dire del futuro di coloro che in questa sede rappresentano l'80% della popolazione mondiale, quelli che rappresentano i Paesi colonizzati durante secoli e saccheggiati per accrescere la ricchezza delle vecchie metropoli?.

E' vero che è passato il tempo, che la storia è quella che fu e non come avremmo voluto che fosse. Ma, dobbiamo contentarci di un futuro uguale?. Possiamo essere tranquilli sapendo che la ricchezza delle tre persone più ricche del mondo è superiore al totale del PIL dei 48 Paesi meno sviluppati, con i loro 600 milioni di abitanti, e i cui rappresentanti siedono oggi in questa sala chiedendo giustizia?

In questa sala vi sono rappresentanti di Paesi dove la maggior parte della popolazione, che appena aumenta, ha la garanzia di un livello di vita decoroso ed una parte, ha perfino un livello di vita opulento. Sono quelli che spendono ogni anno 12 miliardi di dollari in profumi e 17 miliardi in generi alimentari per animali domestici.

Ma, in questa sede vi è una maggioranza rappresentata che non può sentirsi ottimista. E' quella che ha 900 milioni di affamati e 1.300 milioni di poveri. I miei fratelli, rappresentanti dell'Africa che sono oggi qui, non hanno motivi di sentirsi tranquilli: sanno che oggi il continente ha 23 milioni di malati di AIDS, e sanno anche che il trattamento di un malato di AIDS costa 12 mila dollari annui e che occorrono circa 300 miliardi di dollari perché gli africani possano ricevere il trattamento che ormai ricevono i malati nei Paesi ricchi.

Pensano per caso i miei colleghi, rappresentanti di 6 miliardi di abitanti del pianeta, ai quali si aggiungono più di 80 milioni ogni anno, quasi tutti nel Terzo Mondo, che una situazione del genere può perpetuarsi nel prossimo secolo?

Come potremo evitare noi tutti che continui aumentando il numero di emigranti dei Paesi poveri che vanno alla ricerca di un sogno verso i paesi ricchi, se l'attuale ordine economico del mondo non permette che trovino nei loro paesi di origine le condizioni per una vita decorosa?

In questa sede pochi dei miei colleghi rappresentano paesi che non devono temere alcuna minaccia militare nel prossimo secolo. Alcuni hanno perfino armi nucleari, ovvero appartengono ad un'alleanza potente o allestiscono ogni anno i loro eserciti con armi migliori e più soffisticate. Sono quelli che considerano tutti gli altri paesi quali semplice periferia euroatlantica della NATO, e non dovranno, quindi, subire i demolitori bombardamenti in massa realizzati da attaccanti invisibili, in virtù della cosiddetta nuova concezione strategica dell'aggressiva organizzazione militare.

Ma la stragrande maggioranza di quelli che siamo seduti oggi in questa sede non abbiamo questa sicurezza. Vediamo con preoccupazione che in un mondo dominato da una sola potenza militare e tecnologica, siamo oggi meno sicuri che negli anni difficili della Guerra Fredda.

Se un giorno volessimo riunire il Consiglio di Sicurezza per discutere una situazione di minaccia contro uno dei nostri Paesi poveri, credete, Eccellenze, che saremo in grado di farlo?. Penso che esempi recenti dimostrano il contrario.

Perché non si parla in questa sala del disarmo generale e completo, compreso quello nucleare? Perché si cerca di controllare solo l'esistenza di armi leggere, necessarie, ad esempio, nel caso di Cuba, aggredita e bloccata per quaranta anni, e non parlare neanche delle mortifere bombe guidate dai laser, i proiettili di uranio impoverito o le bombe a grappolo o di grafite utilizzate dagli Stati Uniti nei bombardamenti contro i civili a Kosovo?

Qualcuno potrebbe sostenere che legaremo un mondo giusto e sicuro ai nostri figli se non cambiamo le ingiuste e disuguali misure con cui si giudicano oggi questioni tanto importanti per la nostra sicurezza collettiva?

Si deve anche accettare l'imposizione delle regole del libero mercato e la sacrosanta legge dell'offerta e la domanda nel brutale commercio della morte?. Cosa impedisce alla comunità internazionale di tentare, in modo razionale e coordinato, di destinare una grande parte dei 780 miliardi di dollari che oggi si dedicano ai budget militari a fomentare lo sviluppo nei paesi del Terzo Mondo?

Per tale motivo difendiamo con tanta passione il rispetto ai principi del diritto internazionale che per più di mezzo secolo hanno presieduto i rapporti fra tutti i Paesi. Cosa rimarrà per la nostra difesa se nel futuro i paesi poveri non potessimo invocare principi come quello del rispetto alla sovranità e all'autodeterminazione, l'uguaglianza sovrana degli Stati e il non intervento negli affari interni di un altro Paese?. Come avremmo potuto chiedere il rifiuto della comunità internazionale alla minaccia contro uno dei nostri Paesi se tali principi, oggi violati in pratica in modo sistematico e flagrante, fossero cancellati dalla Carta delle Nazioni Unite?.

In un mondo unipolare, i tentativi d'imporre nozioni come quella della limitazione della sovranità, ovvero "intervento umanitario" non favoriscono la sicurezza internazionale e minacciano i Paesi del Terzo Mondo che non hanno eserciti potenti né arme nucleari. Tali tentativi devono, quindi, cessare. Violano la lettera e lo spirito della Carta.

D'altra parte, riteniamo necessaria la difesa, oggi più che mai, dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Difendiamo sia la necessità della sua esistenza, sia quella della sua democratizzazione. La sfida che abbiamo è quella di riformare le Nazioni Unite per servire ugualmente gli interessi di tutte le nazioni.

Difendiamo tanto la necessità dell'esistenza del Consiglio di Sicurezza, quanto quella di renderlo più ampio, democratico e trasparente. Perchè non potrebbero i suoi membri permanenti?. Perchè non protrebbero entrare due o tre nuovi membri permanenti dell'America Latina, Africa e Asia, se oggi vi sono più del triplo dei Paesi che fondarono le Nazioni Unite a San Francisco nel 1945, e la stragrande maggioranza, che sono quelli del Terzo Mondo, non possiedono neanche uno?

Non difendiamo, tuttavia, il veto. Crediamo che nesuno dovrebbe averlo. Ma se non fosse possibile eliminarlo, almeno cerchiamo che tale privilegio sia condiviso tra un numero maggiore di paesi e approviamo che tutti i nuovi membri permanenti abbiano anche il diritto al veto. Perché, se non si può eliminare adesso il veto, non si limita il suo uso al caso delle misure che siano proposte in virtù del Capitolo VII della Carta.

Un solo Paese può annullare oggi la volontà di tutti gli altri membri delle Nazioni Unite. Ed uno di essi ha esercitato il diritto al veto senza alcun limite, tantissime volte: gli Stati Uniti. Questo non è sostenibile.

Nelle Nazioni Unite bisogna arginare il tentativo di imporci il pensiero unico, facendoci credere che è nostro, oppure che è superiore alla nostra ricca diversità di culture e modelli, ovvero che è più sviluppato e moderno delle nostre molteplici identità. Per sopravvivere dovremo opporci ad essere trattati come semplice periferia euroatlantica, e che siano considerate minacce globali i problemi che fronteggiamo come conseguenza del colonialismo, il sottosviluppo, il consumismo dei Paesi ricchi, o anche come conseguenza di politiche recenti o attuali di questi Paesi.

In questa sede sono presenti rappresentanti del Gruppo dei Sette, paesi con 685 milioni di abitanti, le cui economie hanno un PIL pari a 20 milioni di milioni di dollari, e ci siamo anche gli altri 181 paesi, con oltre 5 miliardi di abitanti ed economie con un PIL di appena 10 milioni di milioni di dollari.

Siamo tutti uguali?. Secondo la Carta delle Nazioni Unite, sí; ma secondo la realtà, no.

Mentre i Paesi ricchi hanno aziende multinazionali che controllano più della terza parte delle esportazioni mondiali, i Paesi poveri abbiamo il peso asfissiante del debito esterno, pari a 2 milioni di milioni di dollari e che aumenta continuamente, al tempo che inghiotisce quasi il 25% delle nostre esportazioni per il pagamento del suo servizio. Come si può concepire così il nostro sviluppo?

Mentre si parla insistentemente in questa sede della necessità di una nuova architettura finanziaria mondiale, colpisce i nostri Paesi il flagello di un sistema che consente ogni giorno operazioni speculative pari a 3 milioni di milioni di dollari. Questo edificio non ha soluzione: non si tratta di ristrutturarlo, ma di demolirlo e costruirne uno nuovo.

Qualcuno potrebbe spiegare la logica di questa economia fantasma, che non produce niente e si mantiene a base di acquistare e di vendere ciò che non esiste?. Dobbiamo o meno demolire questo sistema finanziario caotico e fondare sulle sue rovine un sistema che dia il privilegio alla produzione, consideri le differenze e smetta di obbligare le nostre maltrattate economie a vivere permanentemente nell'illusione impossibile di aumentare le riserve finanziarie? Queste, prima o poi, scompaiono in mezzo alla lotta disperata e disuguale per difendere le nostre monete di fronte alla forte e superfavorita moneta dell'anacronico accordo di Bretton Woods: il sacrosanto dollaro.

Quando si scriverà la storia di questi anni, sarà molto difficile spiegare come un solo Paese ha potuto accumulare tanti privilegi e un potere tanto assoluto. Cosa diranno gli economisti del prossimo secolo quando verificheranno che gli Stati Uniti hanno potuto vivere con un deficit di conto corrente di circa 300 miliardi di dollari, senza che il FMI gli imponesse uno solo dei rigorosi programmi di aggiustamento che impoveriscono ai Paesi del Terzo Mondo? Chi spiegherà che, grazie al privilegio di avere la moneta di riserva del mondo, i nordamericani sono gli abitanti di questo pianeta che meno risparmiano e che più spendono? Qualcuno dirà loro che nel 1998 hanno potuto importare automobili per 124 miliardi di dollari o spendere 8 miliardi di dollari in cosmetici grazie, in buona misura, al fatto di controllare il 17,8 % dei voti del FMI, il che gli da un virtuale potere di veto?. E come spiegare ai cittadini di Tanzania per esempio che finchè questo capitava loro dovevano dedicare al servizio del debito nove volte quello che dedicavano ad attenzione primaria sanitaria e quattro volte ciò che dedicavano all'istruzione elementare?

L'attuale sistema economico internazionale, oltre ad essere profondamente ingiusto, è assolutamente insostenibile. Non può sostenersi un sistema economico che distrugga l'ambiente. Oggi, la disponibilità di acqua potabile è pari al 60% dei livelli del 1970, e siamo oggi 2.300 milioni di esseri umani più di allora. Lo stesso capita con i boschi. Qualcuno potrebbe difendere in questa sede che tale ritmo di distruzione può perdurare indefinitamente?

Non può sostenersi un sistema economico basato sui modelli irrazionali di consumo dei Paesi ricchi, che si esportano dopo, mediante i mezzi di diffusione, ai nostri Paesi. Perché non accettare che è possibile una vita decorosa per tutti gli abitanti del pianeta con le risorse alla nostra portata, con lo sviluppo tecnologico che abbiamo raggiunto e mediante un'uso ragionevole e solidale di tutto questo potenziale?

Come spiegare che i Paesi membri dell'OCSE, a cui rappresentanti parlo con tutto rispetto in questo momento, abbiano regressato fino a raggiungere meno della terza parte dell'obiettivo minimo tracciato nel 1970 di dedicare lo 0,7 % del loro PIL come Assistenza ufficiale allo Sviluppo?

Chiedendo ad un membro della nostra delegazione, Deputato all'Assemblea Nazionale che professa la fede cristiana, cosa avrebbe detto la Bibbia su un ordine economico così ingiusto, rispose senza estare con le parole testuali di un profeta del suo libro più sacro: "Isaia, capitolo X, versicoli 1, 2 e 3: Vadate,voi che dettate leggi ingiuste e pubblicate decreti intollerabili, che non rendono giustizia ai deboli, né riconoscono i diritti dei poveri del mio popolo, che non aiutano le vedove e che oltraggiano gli orfani!. Cosa farete quando dovrete a rendere conto, quando vedrete venire da lontano la punizione? A chi far ricorrete per chiedere aiuto?. Dove lascerete le vostre ricchezze?"

So che in questa sede molti condividono queste preoccupazioni e so anche che quasi tutti ci facciamo la stessa domanda: si preserverà la WTO dal pericolo di diventare un feudo degli Stati Uniti e i loro alleati, come lo sono oggi il FMI e la Banca Mondiale? Riusciremo veramente a far sí che la WTO sia il foro democratico e trasparente di cui abbiamo bisogno, o s'imporranno i potenti interessi della minoranza, a scapito della maggioranza silenzioza che, divisa, confusa e poco all'erta, non riesce oggi a capire i pericoli di una liberalizzazione fredda e dogmatica del commercio mondiale?. Si ricorderanno che la stragrande maggioranza dei Paesi del Terzo Mondo, dipendenti dall'esportazione di un prodotto agricola o da alcune specie, saranno spazzati via dal commercio mondiale e schiacciati dalla concorrenza feroce di alcune multinazionali?. Dovremmo avere o meno conto di tali realtà ed accettare la necessità che siano preservati gli interessi dei Paesi sottosviluppati, almeno per garantire la loro sopravvivenza?

Come potremo competere noi, Paesi poveri se i nostri professionisti partono alle nazioni ricche alla ricerca di migliori opportunità, se non ci permettono neanche di tenere i nostri atleti e vediamo con dolore come gareggiano sotto la bandiera di altro paese?

Come andremo a concorrere economicamente le nazioni povere se i dieci paesi più sviluppati controllano il 95% dei brevetti rilasciati negli ultimi 20 anni e la proprietà intellettuale, lungi da liberalizzarsi è sempre più protetta?

Parlarci ai paesi poveri di commercio via Internet è quasi uno scherzo, quando si sa che 91% degli utenti di Internet vivono nei paesi dell'OCSE. Si potrà un giorno trasformare la situazione attuale in cui, mentre negli Stati Uniti, in Svezia e in Svizzera esistono più di 600 linee telefoniche per ogni mille abitanti, in Cambogia, in Chad e in Afganistan vi è un telefono per ogni mille abitanti?

Signor Presidente, Eccellenze;

In questo ambito drammatico per la stragrande maggioranza dei paesi del mondo, sono costretto a parlare del mio Paese. Se vi è un esempio palese di ciò che non dovrebbe capitare nel mondo nei rapporti fra potenti e piccoli, quello è Cuba.

Per più di 40 anni, il mio popolo è stato sottomesso ad una politica brutale di ostilità e aggressioni di ogni tipo da parte degli Stati Uniti, confessamente destinata dalle massime autorità di questa potenza a distruggere il sistema politico ed economico che per la sua libera volontà il popolo cubano ha costruito, e a ristabilire il dominio neocoloniale su Cuba che definitivamente questa potenza perse, il 1 gennaio 1959, con la vittoria della Rivoluzione Cubana. Come si è ormai dimostrato dai fatti e dalle dichiarazioni pubbliche dei portavoci statunitensi e dai documenti secreti ormai resi pubblici negli Stati Uniti, tale politica aggressiva si è servita di mezzi che comprendono azioni politiche, diplomatiche, propagandistiche, spionaggio e sovversione, l'incoraggiamento alla defezione ed all'emigrazione illegale, l'esecuzione di atti terroristi, di sabotaggio e di guerra biologica, l'organizzazione ed appoggio di bande armate, la realizzazione di incursioni aeree e navali contro il nostro territorio, l'organizzazione di più di 600 piani per assassinare il leader della nostra Rivoluzione, l'invasione militare da parte di un esercito mercenario, la più grave minaccia di un conflitto nucleare mondiale che abbiamo conosciuto, nel mese di ottobre 1962, e, finalmente, un brutale blocco commerciale e finanziario ed una feroce guerra economica contro la mia patria che dura ormai 40 anni.

Senza riferirci all'aspetto economico dell'aggressione contro Cuba, e limitandoci unicamente alle aggressioni fisiche e azioni belliche portate avanti dal Governo degli Stati Uniti, recentemente, le organizzazioni sociali cubane, presentarono in nome di tutto il popolo di Cuba, una domanda di carattere civile reclamando al Governo degli Stati Uniti il resarcimento dei danni e l'indennizzo dei pregiudizi per la vita di 3.478 cittadini cubani morti e per altri 2.099 sopravvissuti, rimasti handicappati, come conseguenza dei piani segreti e della guerra sporca degli Stati Uniti. Nella domanda si chiede la condanna del Governo degli Stati Uniti, nella sua condizione di responsabile di questi danni umani, al pagamento di una somma totale di 181.100 milioni di dollari in concetto di risarcimento ed indennizzo, come minimo e simbolico compenso per qualcosa che è indubbiamente insostituibile ed impossibile di valutare, che è la vita e l'integrità fisica di oltre 5.500 cubani vittime della politica ossessa degli Stati Uniti contro Cuba.

Nel processo aperto e pubblico seguito per la considerazione di questa domanda, trasmesso dalla TV a tutta la nazione, è stata palesemente dimostrata la responsabilità diretta del Governo degli Stati Uniti in questa continuata aggressione, nonchè il fatto che la guerra non dichiarata contro Cuba è stata una politica di Stato svolta niente meno che da nove successive amministrazioni nordamericane durante gli ultimi 40 anni .

Cosa diranno ai nipoti quei dirigenti, funzionari e agenti del Governo degli Stati Uniti che hanno sulle loro coscienze il fardello della pianificazione e l'esecuzione di questa guerra sporca contro Cuba, e il carico morale della responsabilità per la morte di migliaia di cubani?

Potremo permettere che perduri nel prossimo secolo un sistema internazionale in virtù del quale azioni mostruose di questa natura, perpetrate sistematicamente e flagrantemente da una grossa potenza, rimangano completamente impuni?

Il feroce blocco economico, che comprende i più minuziosi dettagli di tutte le eventuali manifestazioni dei rapporti commerciali e finanziari esterni del nostro paese, merita speciale attenzione.

Questo blocco che dura ormai da più di 40 anni, cominciò a scogitarsi prima della vittoria della Rivoluzione. Un documento segreto statunitense, reso pubblico nel 1991, dimostra che il 23 dicembre 1958, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza nazionale con il presidente Dwight Eisenhower, nella quale si discusse la situazione del nostro paese, colui che allora era direttore della CIA, Allen Dulles, disse categoricamente: "Dobbiamo impedire la vittoria di Castro".

Tre giorni dopo, il 26 dicembre, il presidente Eisenhower indicava alla CIA che "non voleva che i dettagli delle operazioni segrete (contro Cuba) fossero presentati al Consiglio di Sicurezza Nazionale". Tutto doveva essere strettamente segreto.

Il trionfo fulminante delle forze rivoluzionarie sei giorni dopo non lasciò il tempo per "impedire la vittoria".

La prima zampata nordamericana contro l'economia nazionale ebbe luogo lo stesso primo gennaio 1959, quando scapparono verso quel Paese, insieme agli autori dei peggiori massacri e abusi contro la popolazione, coloro che avevano saccheggiato il Tesoro Pubblico.

Cinque settimane dopo la vittoria rivoluzionaria, l'economista Felipe Pazos, un professionista ben noto e rispettato all'interno del Governo degli Stati Uniti, il quale per decisione del Governo Rivoluzionario aveva assunto la direzione della Banca Nazionale, informò il 6 febbraio che il regime precedente aveva malversato e si era impadronito di 424 milioni di dollari delle risorse in oro e dollari che sostenevano il peso cubano.

Il New York Times ribadì la veracità di quanto detto nel rapporto sulla sottrazione dei fondi che costituivano l'unica riserva del Paese.

Il prodotto del grosso furto andò a finire nelle banche degli Stati Uniti. Nemmeno un solo centesimo fu restituito a Cuba.

Prestiti modesti furono richiesti immediatamente dalla Banca Nazionale per fronteggiare la critica situazione. Ma gli furono rifiutati.

La legge di Riforma Agraria, -promulgata il 17 maggio 1959, destinata a fornire generi alimentari alla stragrande maggiornanza del nostro denutrito popolo e impiego diretto o indiretto ad una grossa parte della popolazione che era disoccupata, e quando la parola socialismo non si era pronunciata a Cuba-, provocò una reazione estrema negli Stati Uniti, le cui aziende erano proprietarie di una grande parte delle migliore e più fertili terre cubane. Davanti alla volontà cubana, stabilita nella stessa Legge, di compensare i proprietari con il pagamento differito, ragionevole e possibile, il Governo degli Stati Uniti esigette un immediato, completo ed effettivo indennizzo. Perciò non vi era un solo centesimo nei fondi pubblici.

Un mese dopo, il 24 giugno, in una riunione convocata dal Dipartimento di Stato per considerare le scelte d'intervento contro Cuba, si discusse il criterio di "assumere immediatamente un atteggiamento molto fermo contro la legge e la sua implementazione", e che " il miglior modo di raggiungere il risultato necessario era la pressione economica". Si valutò la soppressione della quota zuccheriera cubana sul mercato statunitense, il che avrebbe provocato, secondo indicano i documenti segreti, che "l'industria zuccheriera subisse un brusco e immediato crollo, cagionando la generalizzazione di una maggiore disoccupazione. Numerose persone sarebbero rimaste senza impiego e avrebbero cominciato a soffrire la fame". In quella riunione, il Segretario di Stato Herter qualificò esplicitamente le proposte come "misure di guerra economica".

Il 6 aprile 1960, L.D. Mallory, un importante funzionario del Dipartimento di Stato disse che "l'unico mezzo prevedibile per evitare l'appoggio interno è la delusione e lo scoraggiamento basati sull'insoddisfazione e sulle difficoltà economiche.[...]. Si deve utilizzare immediatamente qualunque mezzo concepibile per indebolire la vita economica di Cuba. [...] Una linea di azione di maggior impatto è negare denaro e forniture a Cuba, per diminuire i salari reali e monetari allo scopo di provocare la fame, la disperazione e l'abbattimento del governo".

Il 6 luglio di quel anno si applica la misura concepita: fu soppressa la quota zuccheriera cubana. Gli Stati Uniti non acquistarono mai più a Cuba una sola libbra di zucchero. Un mercato creato da oltre cento anni fra gli Stati Uniti e Cuba, sicura fornitrice di questo prodotto vitale a quel Paese e ai suoi alleati nelle due guerre mondiali che ebbero luogo nella prima metà del secolo, e dalle quali emerse quella nazione quale la potenza più ricca e forte del mondo, fu soppressa in un secondo, colpendo spietatamente la principale fonte di lavoro e di ricchezza del Paese, privandola dei fondi indispensabili per acquistare le risorse alimentari, mediche, energetiche e di materie prime di cui aveva bisogno per la vita materiale del nostro popolo.

Da allora, le successive misure economiche contro il popolo di Cuba si sono accumulate fino a diventare un blocco totale e assoluto che ha vietato perfino l'esportazione al nostro Paese di un'aspirina prodotta negli Stati Uniti, o l'esportazione a quel paese di un semplice fiore coltivato a Cuba.

Questo blocco assoluto, cinicamente qualificato in modo ufficiale con l'edulcorata e apparentemente innocua parola "embargo", non ha cessato d'inasprirsi per 40 anni.

Nel momento più critico e difficile, -quando sono scomparsi l'URSS e il campo socialista, mercati e fonti fondamentali di rifornimento di cui disponeva il Paese per sopportare la feroce guerra economica scatenata contro un'isola situata a solo 90 miglia delle coste degli Stati Uniti-, hanno deciso di essere ancora più implacabili nei confronti di Cuba: il blocco, con opportunismo grossolano e ripugnante, si è inasprito al massimo.

La cosiddetta legge Torricelli del 1992, tra diverse misure di restrizione che danneggiavano considerevolmente il trasporto marittimo di merci e di generi alimentari tra Cuba e il resto del mondo, ha stabilito la proibizione del commercio con Cuba alle aziende sussidiarie nordamericane con sede in Paesi terzi. Come risultato di ciò, si è messo fine a tali operazioni commerciali che in generi alimentari e medicine significavano importazioni di oltre 700 milioni di dollari provenienti da quei paesi.

La politica di genocidio raggiunge il suo livello più infame con la legge Helms-Burton, che codifica tutte le proibizioni amministrative precedenti, amplifica e intensifica il blocco e lo stabilisce a perpetuità.

Dopo questa legge, per inasprire ancora di più il blocco contro il popolo cubano, numerosi emendamenti a importanti leggi tanto urgenti e voluminosi che molti legislatori nordamericani non avevano neanche il tempo necessario di leggerli, sono stati adottati alzando la mano nel Congresso degli Stati Uniti. La mafia terrorista cubano-americana, associata all'estrema destra, ha raggiunto l'obiettivo che il blocco non fosse più una facoltà dell'Esecutivo per transformarsi in rigorose e inflessibili leggi. Il genocidio ha acquisito così un carattere istituzionale.

L'Associazione Nordamericana per la Salute Mondiale (AAWH), dopo aver studiato nel 1997 le conseguenze del blocco in questa sfera, ha concluso che "esso viola gli accordi elementari e le convenzioni internazionali che segnano le direttrici relative ai diritti umani, compresi la Carta delle Nazioni Unite, la Carta dell'Organizzazione di Stati Americani, gli articoli della Convenzione di Ginevra che regolano il trattamento dei civili in tempo di guerra [...]. Le Convenzioni di Ginevra, a cui appartengono 165 paesi, compresi gli Stati Uniti, richiedono il libero passaggio di tutte le forniture mediche e generi alimentari per l'uso civile in tempo di guerra. Gli Stati Uniti e Cuba non sono in guerra. Anzi, i loro governi mantengono rappresentanze diplomatice all'Avana e a Washington. Tuttavia, l'AAWH ha determinato che le restrizioni dell'embargo significano bloccare deliberatamente l'accesso della popolazione cubana ai generi alimentari e ai farmaci - in tempo di pace".

Nello stesso rapporto, l'Associazione Nordamericana per la Salute Mondiale esprime il suo criterio che "l'embargo degli Stati Uniti contro Cuba ha danneggiato drammaticamente la salute e la nutrizione di un grande numero di cittadini cubani [...]. Concludiamo che l'embargo degli Stati Uniti ha aumentato significativamente la sofferenza a Cuba, cagionando persino dei morti".

Per sette anni di seguito, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato, in ogni occasione, una risoluzione sulla necessità di porre fine al blocco economico imposto al popolo cubano dal Governo degli Stati Uniti. Ogni anno aumenta palesemente la condanna a questa politica di genocidio.

Fra il 1992 e il 1998 la Risoluzione di Cuba contro il bloccco ha ottenuto 59, 88, 101, 117, 137, 143 e 157 voti a favore. Quella degli Stati Uniti ha ottenuto solo 3, 4, 2, 3, 3, 3 e 2 voti, compreso il proprio voto.

Davanti al disprezzo assoluto dimostrato dagli Stati Uniti nei confronti delle risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il popolo di Cuba, e anche se la battaglia all'interno di questa Assemblea continuerà, ha deciso di ricorrere alle procedure legali cui ha diritto, per esigere le sanzioni nei confronti dei responsabili di questi atti di genocidio.

Il proposito di Cuba si basa in solidi e indiscutibili fondamenti legali.

La Convenzione per la Prevenzione e la Sanzione del Delitto di Genocidio, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 9 dicembre 1948, sottoscritta dal Governo degli Stati Uniti l'11 dicembre 1948 e da Cuba il 28 dicembre 1949, in vigore dal 12 gennaio 1951, sotoscritta e ratificata da 124 Stati membri, stabilisce testualmente nell'Articolo II quanto segue:

"Nella presente Convenzione s'intende per genocidio qualunque atto dei citati a continuazione perpetrati allo scopo di distruggere totalmente o parzialmente un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso".

Successivamente, al comma c) indica tra tali atti "la sottomissione intenzionale del gruppo a condizioni di vita che cagionino la loro distruzione fisica totale o parziale."

All'Articolo III stabilisce che, tra l'altro, verranno puniti:

"a) Il genocidio;"

"b) Il tentativo di genocidio;"

"c) la complicità nel genocidio."

Con tutta precisione, all'Art. IV dispone:

Le persone che abbiano commesso genocidio o qualunque degli atti di cui all'Articolo III saranno puniti, siano governanti, funzionari o privati".

La Convenzione relativa alla Protezione nei confronti delle Persone Civili in Tempo di Guerra, sottoscritto a Ginevra il 12 agosto 1949 e ratificato dai governi degli Stati Uniti e di Cuba, in vigore dal 21 ottobre 1950, e del quale fanno parte attualmente 188 Stati, stabilisce nel suo Articolo 23:"Ognuna delle Alte Parti contraenti autorizzerà il libero passaggio di qualunque spedizione di farmaci e di materiale sanitario, nonché di oggetti per il culto destinati unicamente alla popolazione civile di qualunque altra parte contraente, anche se nemica. Permetterà, inoltre, il libero passaggio di qualunque spedizione di generi alimentari indispensabili, di vestiti e di tonici riservati ai bambini di meno di 15 anni e alle donne gravide o partorienti."

Il Protocollo Aggiuntivo I della suddetta Convenzione stabilisce in modo espresso, preciso e categorico, all'Articolo 54, la "protezione dei beni indispensabili per la sopravvivenza della popolaizone civile".

"1. E 'vietato come metodo di guerra far soffrire la fame ai civili.

"2. E 'vietato attaccare, distruggere, sottrarre o inutilizzare i beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, quali generi alimentari e zone agricole che li producono, le raccolte, il bestiame, le strutture e riserve di acqua potabile e le opere d'irrigazione, con l'intenzione deliberata di privare di tali beni, per il loro valore quali mezzi per assicurare la sussistenza alla popolazione o alla Parte Contraria, qualunque sia il motivo, sia per fare soffrire la fame ai civili sia per provocare il loro spostamento, o con qualunque altro proposito".

L'Articolo VI della Convenzione, stabilisce, senza alcun dubbio, che:"Le persone accussate di genocidio o di qualunque degli atti di cui all'Articolo III saranno giudicate da un tribunale competente dello Stato nel cui territorio è stato commesso l'atto.

Al comma e) del suddetto Articolo III, si stabilisce con la stessa chiarezza che anche i complici del genocidio saranno puniti.

Quindi, l'Assemblea Nazionale del Potere Popolare di Cuba ha dichiarato il 13 settembre scorso che:

1º Il blocco economico imposto dal governo degli Stati Uniti contro Cuba è un crimine internazionale di genocidio, in conformità a quanto definito nella Convenzione per la Prevenzione e la Sanzione del Delitto di Genocidio, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948.

2º Seguendo gli argomenti esposti e la precedente dichiarazione, proclama il diritto di Cuba a esigere che tali misfatti siano puniti.

3º Visto che per quarant'anni si è perpetrato un grave, sistematico e continuato genocidio contro il popolo di Cuba, secondo le norme, principi, accordi e leggi internazionali, spetta ai tribunali cubani giudicare e punire i colpevoli, in presenza o in assenza.

4º Gli atti di genocidio e altri crimini di guerra non si prescrivono.

5º I colpevoli possono essere puniti anche con l'ergastolo

6º La responsabilità penale non esonera lo Stato aggressore dell'indennizzo materiale per il danno umano ed economico cagionato.

7º Richiede l'appoggio della comunità internazionale in questa lotta per difendere i principi più elementari di giustizia, del diritto alla vita, la pace a la libertà di tutti i popoli.

In questa sede, sono presenti, come membri della delegazione cubana alla 54 Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, tre giovani rappresentanti degli studenti universitari, di coloro della scuola media e degli adolescenti e dei bambini cubani, che rappresentano le organizzazioni sociali che hanno presentato davanti ai relativi tribunali la domanda contro il Governo degli Stati Uniti per risarcimento di danni umani e indennizzo di pregiudizi alle migliaie di persone fisicamente colpite, e inoltre hanno assunto l'iniziativa legale di proporre davanti all'Assemblea Nazionale del Potere Popolare la suddetta proclama; tre note personalità della medicina cubana, deputate all'Assemblea Nazionale, che prestarono testimonianza davanti alla stessa sui drammatici danni cagionati dal blocco di farmaci al nostro paese; e tre deputati cristiani, che nella nostra Assemblea Nazionale, a partire da profonde convizioni etiche, religiose e umane, hanno appoggiato la proclama che esige di giudicare e punire i responsabili.

Loro sono in disposizione di rispondere, qui, negli Stati Uniti, tutte le domande che vogliano fargli o di avere scambi con la stampa, con istituzioni accademiche, organizzazioni non governative, legislatori, senatori e perfino con qualunque commissione del Congresso degli Stati Uniti. Siamo in disposizione non solo di denunciare, ma anche di dibattere e di dimostrare quanto detto.

Grazie mille